Universitari e DSA

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) in età adulta sono presenti probabilmente da sempre, ma solo negli ultimi decenni si sta dedicando maggiore attenzione a questo fenomeno (Montesano, 2020). In generale, i DSA hanno ricevuto maggiore interesse con l’entrata in vigore della legge 170\2010 , che ha favorito la diffusione di una maggiore conoscenza e sensibilità su questo tema in tutta la popolazione scolastica, coinvolgendo famiglie, scuole ed anche servizi sanitari, soprattutto quelli che si occupano di età evolutiva.

La legge in questione tutela gli studenti di ogni ordine e grado che presentano DSA e riconosce loro il diritto all’apprendimento consentendo l’utilizzo di strumenti compensativi e misure dispensative per lo studio. Tra i destinatari rientrano quindi anche studenti universitari. La norma garantisce loro servizi «che pongano in essere tutte le azioni necessarie a garantire l’accoglienza, il tutorato la mediazione con l’organizzazione didattica e il monitoraggio dell’efficacia delle prassi adottate». Gli atenei pertanto devono garantire questi servizi a chi presenti un’idonea diagnosi clinica di studente con DSA e devono erogare strumenti compensativi e misure dispensative sia per i test di ammissione sia per gli esami universitari (Legge n. 170/2010, art. 5, comma 4). In questo contesto sociale e culturale, la richiesta di certificazioni e approfondimenti clinici per l’università è andata dunque in crescendo, di pari passo con la crescita di consapevolezza da parte degli studenti circa le proprie difficoltà scolastiche (Ghidoni e colleghi, 2015).

Uno studio di Sannipoli (2018) mostra come i giovani adulti privi di una diagnosi di DSA e che non hanno avuto la possibilità di comprendere ed elaborare le difficoltà scolastiche incontrate sino all’università, tendono a negare queste difficoltà e vivono la nuova esperienza accademica come un’occasione per ripartire da zero, convincendosi che quei disturbi legati all’apprendimento possano essere taciuti. Il desiderio di ricominciare, di sperimentarsi da capo influisce inoltre anche sulle scelte professionali perché spesso si scelgono percorsi (universitari o lavorativi) che meglio nascondono queste difficoltà, quindi viene messo da parte il desiderio autentico e la motivazione intrinseca rispetto al proprio futuro.

Fondamentale quindi una rivalutazione degli apprendimenti all’inizio del percorso universitario, oppure una prima valutazione per conoscere i propri punti di forza e debolezza, per accedere all’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi attraverso i quali gestire le proprie carenze. Attraverso una diagnosi di DSA è possibile affrontare l’Università nel miglior modo possibile e concludere con successo il percorso di studio.

I giovani adulti con DSA che arrivano all’università senza diagnosi sono però persone che hanno reagito alle difficoltà scolastiche dovute ai DSA e ai vissuti scolastici con grande abilità, per questo sono riusciti a superare con successo le scuole superiori.

Questi studenti hanno saputo usare delle strategie compensatorie in grado di raggirare le mancanze cognitive grazie a fattori personali, come una forte motivazione allo studio, una buona capacità di resilienza, la costruzione di un sé positivo e in generale da un atteggiamento positivo di fronte alla vita. Oltre a questi fattori personali, anche il contesto relazionale che si sviluppa intorno allo studente può favorire l’utilizzo di spontanee strategie cognitive, come per esempio un buon supporto familiare e una buona relazione con gli insegnanti (Cornoldi e colleghi 2019).

Le strategie compensatorie accompagnano lo studente durante la scuola primaria e secondaria ma sono comunque destinate ad affievolirsi e a perdere di efficacia perché i DSA perdurano nel tempo a causa della loro natura neurobiologica (ISS, 2011) ed essi riemergono quando le capacità dell’individuo sono insufficienti di fronte alle richieste scolastiche divenute più complesse. Poichè i DSA hanno carattere evolutivo, continuano a caratterizzare studenti in età adulta interferendo in modo importante sui risultati universitari ed anche lavorativi (Angelini e colleghi, 2017).

Altrettanto fondamentale un approfondimento emotivo e metacognitivo che consentono di comprendere quale metodo di studio è migliore per sè , considerando i propri vissuti e le proprie strategie di studio messe in atto sino ad allora.

Non è tardi e non è inutile pensare ai DSA per i giovani adulti, un percorso di valutazione può aiutare la persona a meglio comprendere le precedenti esperienze scolastiche e i vissuti di inadeguatezza che ha potuto sperimentare nel corso della carriera scolastica, nel caso avesse avuto disturbi specifici degli apprendimenti mai riconosciuti in passato.

Per percorsi di valutazione, approfondimento, potenziamento, e sostegno allo studio, contattatemi

Dott.ssa Luana Minasso – tel 3881946137 – luana.minasso@gmail.com

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Il Mio Metodo di studio efficace- 12 incontri per studenti tra i 10 e i 15 anni

La scuola, insieme alla famiglia, è la principale agenzia di formazione e di socializzazione dell’individuo, uno dei perni su cui far leva per promuovere il benessere (fisico, psicologico, relazionale) dei giovani.

A scuola si fanno delle esperienze che consentono al bambino e al ragazzo di crescere e di sviluppare delle abilità, strategie, competenze che lo accompagneranno per tutta la vita. L’autostima, la capacità di autovalutarsi e la percezione di essere efficaci nell’affrontare i compiti proposti influenzano la motivazione allo studio e al compito, l’impegno, ma anche l’atteggiamento verso i compiti. È molto importante sostenere gli studenti fin dalla prima età, nel vivere serenamente la scuola e le sfide evolutive che richiede, evitando di creare uno stile attributivo disfunzionale per l’apprendimento.

Il percorso proposto è pensato per studenti tra la 5° primaria e la 1° secondaria inferiore. L’ obiettivo quello di far acquisire un metodo di studio efficace, che consente al bambino e al ragazzo di rispondere alle richieste scolastiche con serenità, sviluppando la capacità di imparare e migliorando il proprio benessere nel mondo scolastico.

Gli obiettivi del percorso:

  • Conoscere il proprio approccio allo studio, le strategie, le convinzioni su sè
  • Incrementare la flessibilità e l’efficacia delle strategie utilizzate;
  • Sostenere la motivazione all’apprendimento
  • Migliorare le capacità di pianificazione e organizzazione dello studente
  • Favorire la riflessione metacognitiva

I 12 incontri prevedono 2 incontri con la famiglia, 10 incontri individuali con lo studente.

È possibile creare sottogruppi di 2 alunni, purchè della stessa età.

Il costo è di 302 euro per il percorso individuale oppure di 344 euro a coppia (172 euro ciascuno)

Le iscrizioni sono aperte dal 17\10\23 al 27\3\23

Riapertura studi e Consulenze online

E’ arrivato il tempo della ripartenza.

Il 4 maggio rappresenta una ripresa, un punto di cambiamento, un nuovo inizio per le famiglie e per i lavoratori. Il tempo sembra essersi sospeso fino a questa data, per i più fortunati, mentre per altri la quarantena è stato un tempo di sofferenze (fisiche e psicologiche), di perdite importanti, di mancanze. Ognuno di noi ha sperimentato un nuovo modo di vivere e ancora lo stiamo sperimentando: grandi domande, paure, rabbia, preoccupazioni, ma anche opportunità e novità che hanno portato a riorgranizzazioni personali, pratiche e anche psicologiche. Questo tempo, ha evidenziato i punti di forza e di debolezza del nostro modo di essere, di pensare e di stare in relazione con gli altri e con il mondo intero.

L’unicità di questo momento storico ci porta ad avere incertezze, prossime e future, e ci costringe a a fare i conti con il qui e ora, giorno per giorno. Ognuno fa con quel che ha, che può, che sente. Ma credo che sia importante sottolineare che, nonostante siamo di fronte a grande Impotenza, abbiamo comunque tutti un margine di libertà d’azione nel nostro piccolo. Il mio invito è quello di sentirsi liberi di chiedere aiuto. La nostra nazione ha riconosciuto l’importanza di offrire un servizio psicologico per tutti, attivando diversi numeri verdi, regionali e nazionale, a cui potersi rivolgere. Ne approfitto qui per specificare che gli psicologi selezionati che trovate dall’altra parte della cornetta sono altamente specializzati nella gestione di emergenze, e colgo l’occasione per ringraziarli per essersi prontamente adoperati e spesi per questa causa, anche come volontari. Il supporto psicologico è doveroso, la salute viene anche dalla mente, non solo dal corpo. Inoltre ritengo che sia legittimo non farcela da soli in un momento così particolare come questo, di pandemia mondiale. Ho scelto di usare il termine di pandemia mondiale proprio per sottolineare la grandezza di questa fase storica, grandezza che giustifica e autorizza CHIUNQUE a volere aiuto.

La vita riparte, sembra ripartire, insieme alle sue classiche difficoltà e a quelle nuove. Gli studi di psicologia e psicoterapia nascono per questo e vi invito a rivolgervi a professionisti del settore, da cercare negli elenchi degli ordini regionali, evitando di cadere in mani sbagliate in un momento così delicato. Molti colleghi hanno continuato in presenza le sedute di consulenze e terapia, altri hanno iniziato sedute online. Per quanto mi riguarda, vi comunico il mio ritorno alla professione.

Attualmente, lo studio situato in Leinì è prossimo alla riapertura, assieme ai colleghi ci stiamo adoperando per rendere sicuro e adeguato il nostro e il vostro ritorno.

Per quanto riguarda lo studio a Torino, mi sono trasferita in Via Silvio Pellico 1, rimanendo in zona San Salvario. In questo studio invece, credo che il mio rientro sarà posticipato rispetto a quello di Leinì.

A partire da lunedì 4 maggio 2020 è possibile contattarmi per consulenze e psicoterapia online, attraverso l’utilizzo di skype. Qualora foste interessati a questo tipo di contatto, è necessario un appuntamento telefonico.

Nella speranza che sia l’inizio di un qualcosa di migliore, sotto molteplici aspetti, che le difficoltà psico-fisiche siano in decremento per TUTTI, vi saluto e vi lascio la mia professionale disponibilità, con l’auspicio di continuare, attraverso il mio amato lavoro, a fare la mia parte da cittadina del mondo.

L’ansia da gara nelle giovani ginnaste

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Ginnastica Leinì offre un incontro di psicologia dello sport sull’ansia da gara. L’incontro è tenuto da me, ed è rivolto a genitori di ginnaste tra i 9 e i 13 anni che intendono sostenere le figlie a vivere uno sport sano e funzionale alla loro crescita personale.si parlerà di ansia e del suo funzionamento, del significato dello sport per le ginnaste nelle varie fasi d’età e del contributo che possono dare gli adulti nel vivere serenamente lo sport.

Lunedì 21 gennaio 2019 ore 18.30 – 19.30

Incontro gratuito per i genitori di ginnaste tesserate presso la società

5 euro per gli esterni.

Ginnastica Leinì, via benna 21, Leinì (To)

Associazione Italiana Analisti della Prestazione nel rugby

logoultimoNasce l’A.I.A.P.R. , un’associazione che si occupa di prestazione sportiva nel rugby.

La sola finalità dell’associazione è quella divulgativa, per questo io ed altri colleghi approfondiremo tramite la stesura di articoli questo argomento, ma non solo. Si organizzano seminari e workshop dedicati a chi opera nel mondo rugby, ma anche collaborazioni e consulenze.

Il nostro team è composto da differenti figure professionali che operano nel mondo del rugby. CLICCA QUI per conoscerci.

 

Se vi interessa, potete seguirci ed anche diventare dei soci!

 

FESTIVAL DELLA PSICOLOGIA – colloqui a tariffa agevolata & workshop tematici

festival-psic

In occasione del Festival della Psicologia dal 6 marzo al 6 aprile  è possibile un primo colloquio a tariffa agevolata, presso i miei studi di ricevimento (Torino e Leinì).

come?
è molto semplice:

– CLICCA QUI,
sotto il mio studio di ricevimento in cui vuoi il colloquio clicca  “saperne di più” e poi “effettuare la prenotazione” . In questo modo riceverai il coupon che da diritto allo sconto da portare all’incontro (40 euro)


– contattarmi per fissare giorno e orario ed è fatta!

Inoltre, nello studio di V.Lombroso 28 a Torino, si terranno dei workshop a tema con la Dr.ssa Gallini Chiara:

sabato 1 aprile ore 10 : Mente e corpo: torna l’equilibrio

sabato 1 aprile ore 15: C’era una volta .. i nostri sogni diventano realtà?

per saperne di più  CLICCA QUI

ed altri workshop con la Dr.ssa Scarsi Sara:

mercoledì 5 aprile ore 17: Orientiamoci nei disturbi specifici dell’apprendimento

per saperne di più clicca qui: testo completo

mercoledì 5 aprile ore 19: Come sopravvivere in coppia

per saperne di più clicca qui: testo completo

ti aspetto!

La squadra nel rugby: solo un gruppo?

gruppo1L’attività sportiva è quasi esclusivamente organizzata sulla base di gruppi: società sportive, circoli, federazioni sportive nazionali ed anche gruppi scolastici. Il gruppo è una struttura sociale ed esercita un’influenza sia diretta che indiretta sul comportamento delle persone che ne fanno parte (Cei, 1998). Questo è evidente anche nell’ambito sportivo per ciò che concerne la performance.

Che cos’è un gruppo? La definizione di gruppo in ambito psicologico non è stata univoca, essa cambiava insieme alle epoche storiche in cui veniva elaborata: per alcuni, il fattore critico per definire il gruppo è l’esperienza di un destino comune (Lewin, 1948, Campbell, 1958); per altri l’elemento chiave è l’esistenza di una certa struttura sociale, formale o implicita, di solito sottoforma di relazioni di status e di ruolo (Sherif, Sherif 1969). Altri ancora ritengono il gruppo quello in cui gli individui sono in interazione faccia-a-faccia (Bales, 1950, Homans, 1950). Negli anni ’80 invece compaiono delle riflessioni circa l’autocategorizzazione delle persone (Tajfel 1981; Turner 1982): un gruppo esiste quando “due o più individui […] percepiscono se stessi come membri della medesima categoria sociale” (Turner, 1982, pag.15). Questa definizione ci porta alla più recente definizione di gruppo elaborata da Brown (2000), il quale ha integrato la definizione di Turner con un aspetto relazionale dei gruppi. Brown cioè ha riconosciuto la necessità di considerare i gruppi non come realtà a sé stanti ma in relazione ad altri: “un gruppo esiste quando due o più individui definiscono se stessi come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un’altra persona” (Brown, 2000, pag.17).

La squadra è dunque un gruppo, più nel dettaglio un gruppo formale. A differenza di quanto avviene nei gruppi informali, i membri di un gruppo formale non si sono scelti in autonomia, in modo spontaneo, ma sono stati scelti da persone o enti esterni. In una squadra sportiva infatti, molto spesso i giocatori non si conoscono tra loro perché vengono selezionati da manager o tecnici della squadra ad inizio o fine stagione.

New Zealand v Australia - Final: Rugby World Cup 2015La squadra è anche qualcos’altro, non solo un gruppo formale: è un gruppo sociale. I suoi membri infatti interagiscono e sono interdipendenti rispetto ad un obiettivo comune. Nel rugby, così come in molte altre discipline sportive, essere squadra è molto di più che essere un gruppo. Una squadra infatti è un sistema a se stante, un’unità inimitabile che si sviluppa secondo proprie regole (implicite ed esplicite), una propria modalità di pensiero, ma non solo, sviluppa anche una rete di relazioni tra persone altrettanto irripetibile.

Le caratteristiche della squadra trascendono infatti quelle dei singoli e non coincidono con la semplice somma di queste. Ne è la prova il fatto che le squadre migliori non sono quelle composte dai giocatori più bravi, spesso squadre con ottimi elementi si ritrovano a perdere partite, che sono state vinte invece da squadre che, se pur non formate da “fuoriclasse”, hanno vissuto momenti agonistici eccezionalmente elevati grazie all’interdipendenza positiva che sono riusciti ad instaurare tra loro (Duda, 2001).

Le caratteristiche che permettono ad una squadra di avere un buon rendimento quindi, non riguardano solo le abilità individuali degli atleti. Elementi di estrema importanza sono quindi la qualità delle relazioni tra gli individui, il clima di gruppo, la capacità di gruppocomunicare in modo efficace, la condivisione di obiettivi comuni e il senso di appartenenza. Due squadre che possiedono le medesime risorse possono differire nella prestazione se in una domina rivalità e competitività e nell’altra cooperazione e reciproco sacrificio (Cei et al, 1988; Scilligo et al. 1986).

Anche la coesione di squadra è un elemento importante in quanto promuove aspetti significativi della motivazione individuale, quali ad esempio l’impegno e lo sforzo agonistico, o la sua disponibilità a sacrificare interessi personali per la riuscita della squadra (Zelli, 2011). La coesione è descritta come la tendenza di un gruppo a restare unito per raggiungere obiettivi stabiliti e\o per la soddisfazione dei bisogni affettivi dei suoi membri (Eys et al., 2010).

Molti in ambito sportivo, soprattutto i rugisti, considerano il rugby lo sport di squadra per eccellenza (Sferragatta, 2013). Questo perché lo sport in questione prevede una vicinanza fisica tra i compagni di squadra molto stretta, che poi si traduce in termini di vicinanza mentale. Il corpo si utilizza a pieno sul campo per sostenere i  compagni, oltre che per opporsi agli avversari.  Quando un compagno è a terra con la palla, a lottare contro un palla-rugbyavversario, chiunque gli sia vicino è chiamato a fornirgli “sostegno”, ovvero ad aiutarlo in un gioco di forze, nella spinta verso l’avversario. L’atleta che fornisce il sostegno, non ha l’obiettivo di recuperare la palla, compito lasciato ad altri, ma proprio quello di aiutare ed alleggerire il proprio compagno.

Altra situazione di estrema vicinanza e condivisione per i giocatori di rugby è la mischia, all’interno della quale i giocatori sono estremamente compatti, che si coordinano nei micromovimenti con il massimo delle loro forze.

Questo si traduce su un versante psicologico in emozioni forti legate al gruppo, conoscenza reciproca e fiducia, ma anche in consapevolezza del bisogno di non essere soli, sviluppando un senso di appartenenza e coesione con i compagni di squadra.

“in campo, in situazioni difficili, sentiamo l’arrivo dei nostri compagni, non ci giriamo mai per vedere se abbiamo sostegno. Lo sentiamo. E quando ci abbracciamo l’un l’altro in mischia, in spinta, diventiamo un unico giocatore. A volte ci riconosciamo dagli odori“ (Lo Cicero, 2007, p.51).

Non è solo il corpo a determinare questa vicinanza, anche nella tattica del gioco è previsto un certo grado di interdipendenza: la palla non può essere passata in avanti, per cui l’obiettivo del singolo è cercare di avanzare nel campo avversario il più possibile, ma quando si arriva al limite è necessario passare la palla al compagno vicino, come passare il testimone con il mandato della meta. “Nel rugby non esiste avanzamento collettivo che non sia supportato dall’avanzamento individuale, ma d’altra parte, l’avanzamento individuale perde di efficacia se non è supportato da quello collettivo”. (Sferragatta, 2013, p.41).

Dal punto di vista del pensiero invece queste abilità sociali si traducono, per esempio, in : saper prevedere le mosse del compagno prima che quelle dell’avversario, in modo da poterlo affiancare (decision making e capacità di lettura della situazione); avere la stessa visione di gioco e sapersi disporre sul campo in modo uniforme (problem solving e capacità visuo-spaziale); voler contribuire al successo mettendo al primo posto la squadra e non se stessi. Significa in sostanza dare vita ad una mente collettiva, che trascende quella dei singoli atleti.

Una squadra con queste caratteristiche non si trova già formata in natura, è necessario costruirla e\o formarla nel tempo, cercando di sviluppare e potenziare gli aspetti predittivi di tali caratteristiche fisiche e mentali. Tale compito spesso viene attribuito al coach ma in realtà spetta a tutti coloro che vivono nell’ambito sportivo, poiché è l’intero contesto ad essere determinante.

 

Bibliografia:

  • Brown, R. (2000). Psicologia sociale dei gruppi. Bologna, ed. Il Mulino.
  • Campbell, D.T. (1958). Common fate, similarity, and other indices of the status of aggregates of persons as social entities. in Behavioural Science,3, pp.14-25.
  • Cei, A. (1998). Piscologia dello sport. Bologna, ed. Il Mulino.
  • Cei, A., Bergerone, C., Ceridono, D., Formica, F. (1988). Personalità e stile interpersonale dell’allenatore in uno sport di squadra, in Guicciardi, M., Salvini A., (a cura di), La psicologia dell’atleta, Milano, ed. Giuffrè.
  • Duda, J.L. (2001). Achievement goal research in sport: pushing the boundaries and clarifying some misunderstandings, in Roberts GC (ed.) (2001) Advances in motivational in sport and exercise. Human kinetics, Champaign, pp. 129-182.
  • Eys, M.A., Burke, S.M., Carron, A.V., Dennis, P.W. (2010). The Sport team as an Effetcive Group. in Williams, J.M., ed., Applied Sport Psychology, New York, Mc Graw-Hill.
  • Homans, G.C., (1950).the Human Group, Harcourt, New York, Brace and World.
  • Lewin, K.(1948). Resolving Social Conflicts, Harper & Row, New York; trad. (1979). I conflitti sociali. Saggi di dinamica di gruppo, Milano, ed. Angeli
  • Lo Cicero, A., Cecinelli, p. (2007). Il Barone. Un’autobiografia. Milano, Baldini Castoldi Dalai.
  • Scilligo, P., Cei, A., Bergerone, C., Ceridono, D., Formica, F. (1986). Relationship between Intrapsychic and Interpersonal Processes and Performance in team Sport. International Journal of Sport Psychology, 4, pp. 293-310.
  • Sferragatta, F. (2013). Le mete dell’allenatore. Prospettive di psicologia dello sport per l’allenatore di rugby. Milano, ed. Franco Angeli.
  • Sherif, M., Sherif, C.W.,(1969). Social Psychology. New York, Harper & Row.Bales,R.F. (1950). Interaction Process Analysis: A Method for the Study of Small Groups, Chicago, Ill ., Universisty of Chicago Press.
  • Tajfel, H. (1981). Human Groups and Social Categories, Cambridge, Cambridge University Press; trad it. Gruppi umani e categorie sociali, Bologna, ed. Il Mulino.
  • Turner,J.C.,(1982). Towards a cognitive redefinition of the social group, in Tajfel, H., (a cura di), Social identity and Intergroup Relations, Cambridge, Cambridge Press University Press.
  • Zelli,A. (2011). Un’analisi delle tematiche, processi psicologici e teorie riconducibili alle dinamiche di gruppo sportivo. in Ludici F., a cura di, Temi di psicologia dello sport, Milano, Led Edizioni.

I capricci da 0 a 3 anni

capricci

Se cerchiamo la definizione di capriccio, troviamo qualcosa che ha a che fare con una voglia improvvisa e bizzarra dei bambini oppure qualcosa legato ad un piagnucolio fasullo per attirare l’attenzione (https://it.wiktionary.org). Nella pratica quotidiana del vivere insieme ai bambini, colleghiamo molto facilmente il capriccio a comportamenti estremi tenuti dai bambini volti all’ottenimento di qualcosa. Spesso diventa difficile spiegare i “no” che diamo a richieste e spropositate le reazioni dei bimbi, che ci possono mettere a disagio in luoghi pubblici o possono sfinirci tra le mura domestiche, spesso convincendoci ad assecondare le loro richieste.

Che cosa è un capriccio o cosa non lo è, lo definiscono gli adulti. È compito dell’adulto discriminare tra un bisogno e un capriccio, semplicemente perché un bambino, soprattutto se è piccolo, non lo può sapere: egli si vive il capriccio, cercando di comunicare qualcosa.

Il compito di interpretazione degli adulti, che decide che cosa è un capriccio e cosa no, è spontaneo e naturale da parte dei genitori, sin dalla nascita del figlio. A partire dalla nascita, il bambino inizia un percorso di crescita anche psicologica: imparerà a sentirsi come una persona a sé, separata dalla mamma; costruirà i propri confini nel tempo e tramite le interazioni con gli altri e il mondo. I genitori guidano i bambini lungo questa presa di coscienza della propria persona, lo aiutano a comprendere che cosa fa parte di sé e cosa no; quali sono i suoi bisogni, i suoi pensieri; i suoi stati d’animo; etc…perché da piccolo il bambino non lo sa fare da solo. Essere una guida per i bambini lo si fa tutti i giorni, ad esempio quando il bimbo ha fame, oppure è scomodo, o anche, vuol esser preso in braccio, il bambino piange. L’adulto poi risponde al pianto e prova a dargli un interpretazione: avrà fame? Avrà sonno? Avrà mal di pancia?”. Attraverso la comunicazione, verbale ma anche fisica, il bambino capirà dal genitore che cosa sta succedendo dentro di sè.

L’interpretazione dei genitori ed è il compito principale di bambini di questa fascia d’età, ed avviene quindi su più livelli: da una parte il bimbo richiede un interpretazione circa i suoi bisogni concreti (fame, mal di pancia, sonno, caldo, freddo…), dall’altra richiede l’interpretazione delle esperienze che vive: le nostre reazioni ai suoi comportamenti funzionano da specchio e gli consentono di comprendere quello che lui sta vivendo. Per esempio se il bimbo cade mentre fa i primi passi, aspetterà la nostra reazione per capire se è successo qualcosa di brutto o no. In questo esempio, se incoraggiamo il bimbo a riprovarci e gli offriamo delle strategie per tirarsi su, sarà più tranquillo nel viversi questa esperienza dei primi passi rispetto a quando ci spaventiamo di fronte alla sua caduta e cerchiamo di consolarlo e di proteggerlo, poiché capirà di essere stato in pericolo.capriccio

Cosa ha a che fare questo con i capricci? Il compito di guida, la funzione di specchio che hanno i genitori, riguarda anche la sfera emotiva. Dobbiamo tenere a mente che anche per le emozioni e la loro gestione, i bambini hanno bisogno di un aiuto dai grandi: si passa da una fase in cui il bimbo vive le emozioni, ma ne è sopraffatto perchè non è capace di comprenderle e quindi di gestirle, regolarle. Il compito dei genitori è quindi quello di renderle più comprensibili ai bambini e di insegnar loro a regolarle: si cerca di calmarlo e consolarlo quando piange disperato, si prende in braccio dalla culla e si cerca di rassicuralo in qualche modo, così come quando è felice e sorride si cerca di farlo star bene sempre di più (spesso quando un gioco lo fa ridere, lo ripetiamo tante volte). La regolazione autonoma delle emozioni, così come la consapevolezza di sé, avviene intorno ai 2 anni.

È quindi opportuno chiederci nei momenti difficili dei capricci, perché sta succedendo e che bisogno si nasconde dietro il capriccio di un bimbo così piccolo. E’ importante cercare di spiegare cosa succede in quel momento senza sminuire lo stato emotivo del bimbo, ma accogliendolo, mentre è bene rimanere stabili nella scelta di non assecondarlo. Questo significa consolare il suo pianto, abbracciarlo e provare a capire il suo stato d’animo, dicendoglielo, ma al tempo stesso non assecondare la sua richiesta se considerata capriccio e non bisogno e spiegargli il perché.

In questo modo, il suo disagio sarà accolto e consolandolo avrà modo di superarlo, inoltre il bambino avrà una visione più chiara della situazione e di cosa sta accadendo. Tutte queste esperienze gli consentiranno di crescere e di saper affrontare autonomamente il capricci-nosuo vissuto, emotivo e psicologico. Fondamentale in tutto questo processo è una forte sincronia, complicità tra i genitori che insieme dovranno decidere quando assecondare il bimbo e quando no. Spesso, un mancato accordo tra i genitori invia messaggi contrastanti al figlio che rimarrà confuso e frastornato dalla situazione e non potrà capire cosa succede in lui e fuori da lui.

Open day Rehabilita

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Lo studio Rehabilita è uno studio multidisciplinare che offre alle persone servizi di differente natura: percorsi di psicoterpia, di neuropsicomotricità e logopedici. Sono anche distribuiti lungo il calendario annuale, laboratori per  adulti e bambini, di diversa natura.

Il lavoro coordinato e di confronto tra professionisti è uno dei principali punti di forza dello studio Rehabilita.

Per informazioni e appuntamenti, è possibile contattare direttamente il singolo professionista, oppure chiamare il numero fisso per poi essere orientati verso il percorso più idoneo alle proprie esigenze.

Tutto questo e molto altro è stato presentato nell’Open day che si è tenuto il giorno 11.02.2017, per il quale vi ringraziamo per la partecipazione.

Parte dell’equipe qui sotto.

rehabilita

Psicoterapia sistemica – relazionale

La psicoterapia è un percorso lungo il quale la persona ritrova il proprio benessere e riscopre le proprie potenzialità di fronte a situazioni difficili e problematiche che si possono incontrare lungo la nostra esistenza. Ecco che queste difficoltà si esprimono eventualmente anche attraverso varie sintomatologie.

La psicoterapia sistemica relazionale parte dal presupposto che “nessuno è un’isola”: ognuno di noi è immerso in una rete di relazioni e contesti che contribuisce alla reteformazione della nostra persona e che al tempo stesso noi determiniamo attivamente a nostra volta. L’ottica sistemica relazionale quindi si occupa della persona considerando gli ambienti in cui vive e si relaziona, ponendo attenzione alle condizioni che hanno permesso ai sintomi e alle problematiche di crearsi e mantenersi nel tempo. Il focus riguarda la persona e i suoi contesti: la famiglia, l’ambiente di lavoro, la scuola, le relazioni amicali, etc..

Questo approccio può essere particolarmente utile per bambini e adolescenti, poichè la terapia familiare consente di esplicitare e conoscere la famiglia, il primo contesto di sviluppo dei bambini. E’ questo il contesto entro cui si sviluppano anche le difficoltà ed è anche il contesto entro cui è possibile trovare nuove e più funzionali soluzioni, ritrovando un nuovo equilibrio e benessere familiare.

La psicoterapia di coppia in ottica sistemica si rivolge a partners che vivono un momento albero-personedi difficoltà, un senso di insoddisfazione ed elevata conflittualità.

La terapia familiare e quella di coppia prevedono solitamente la co-terapia, ovvero la presenza di due professionisti, la fine di offrire diversi punti di vista e di arricchire la riflessione e il confronto. In questo modo, il terapeuta conserva una posizione neutrale rispetto alle persone che si rivolgono a lui ed aumentano le prospettive per una o più soluzioni possibili.